Qual è la tua parola dell’anno? #36
Segnali da → policrisi, poliopportunità, brainrot, polarizzazione, corporates in crisi, arte artificiale e spazi cyborg
Rieccoci, è quella settimana dell’anno in cui manca pochissimo al futuro. Poche ore e sapremo cosa ci riserverà il 2025. Una deformazione dello spazio tempo in cui i Segnali dal Futuro sono più forti, più radicali. Il 2024 è stato l’anno più caldo mai misurato, vecchi politici sono tornati alla ribalta cavalcando la polarizzazione, intelligenze artificiali confondono il confine tra umano e sintetico. Eppure, siamo sicuri che avete fatto anche quest’anno dei buoni propositi, perché la fine dell’anno é quel momento in cui la ricerca del futuro, per quanto pessimista, si incrocia con la voglia di cambiamento.
Buona lettura e buon anno dalla redazione di Segnali dal Futuro!
Tra 2024 e 2025, opportunità e crisi
→ a cura di Francesco Pirri
Il 2025 sarà l’anno dei make-up monocolore che esprimono la tua aura. Ma anche l’anno degli appuntamenti al tuo club di running, e quello in cui finalmente l’IA avrà un impatto decisivo sul sistema sanitario. Se voleste leggere tutti i trend del 2025, ci mettereste già un buon terzo dell’anno che viene. E in fondo, l’esercizio annuale di previsione delle nuove tendenze è più un gesto di fede che di scienza. Davanti alla miriade di cambiamenti possibili, è l'approccio che conta: davanti alla policrisi moderna, intesa come “una situazione complessa dove crisi multiple ed interconnesse convergono e si amplificano l’una con l’altra, risultando in un insieme difficile da gestire o risolvere”, dobbiamo forse identificare la poliopportunità di immaginare un nuovo futuro, oltre l’Antropocene, l’estrattivismo e la polarizzazione.
In un futuro in cui il valore tecnico è sempre più assicurato dalle nuove tecnologie, l’umano è chiamato a fare ciò che sa fare meglio: essere umano, sociale, politico e solidale. Questo è valido nella sfera lavorativa, dove le human skills saranno fondamentali per “garantire un uso etico, creativo e sostenibile della tecnologia”, secondo Paolo Benanti. Ma è valido anche nella gestione delle risorse comuni a beneficio delle attività di interesse generale.
A proposito, condividiamo con voi un appassionante discussione sulla carità. Un discorso che si collega bene a questo periodo dell’anno (le associazioni e le fondazioni ricevono la maggioranza delle donazioni nelle ultime settimane dell’anno), e che si è riacceso in seguito alla mobilizzazione massiccia della filantropia europea e mondiale per il restauro di Notre-Dame a Parigi. Fra chi sostiene che la carità debba essere ottimizzata, e chi predica nuove forme di altruismo efficace, una domanda che vi consigliamo per l’anno prossimo è: “chi è all’opera intorno a me per creare il mondo che vorrei?” Contribuire alle iniziative locali e ad impatto è un buon primo proposito.
Fonti: CAIG, Bruno Giussani, LinkedIn Notizie, NYTimes, Peter Singer, Effective Altruism
Risignificare lo spazio
→ a cura di Ilaria Nicoletta Brambilla
Dove ti senti a casa?
Gaston Bachelard, nella sua “Poetica dello spazio”, definiva la casa come luogo di memoria, stato mentale, spazio dell’intimità che si apre all’amico e si chiude al nemico attraverso le sue aperture, porte e finestre, soglie reali e metaforiche tra interno ed esterno. La sentiamo ancora valida, questa descrizione?
1156 persone potrebbero dissentire, almeno in parte, con il filosofo: sono coloro che hanno commentato un post della Polizia sulla violenza di genere e i cui testi sono stati analizzati da Donata Columbro con l’IA. Il termine più ricorrente è proprio “casa”, il che coincide con le statistiche che mostrano come la violenza nel 61,5% dei casi provenga da chi la casa la frequenta o ci vive. Con buona pace di Bachelard, per molte donne lo spazio domestico si identifica, oggi come ieri, come potenzialmente minaccioso.
E quali sono le soglie del presente? Uno spunto ci viene dal libro di Davide Tommaso Ferrando “City of Legends”, che indaga le nuove forme di domesticità prodotte dalle tecnologie di comunicazione digitale, dove la casa diviene uno “spazio cyborg” nel quale “ciò che è privato diventa pubblico, ciò che è interno diventa esterno, ciò che è intimo diventa collettivo e ciò che è nascosto diventa visibile”.
Futuri obsoleti ed eredità novecentesche
Le città continuano a crescere e ad aumentare, e per qualcuno è una buona notizia. Potete farvene un’idea con questa mappa che identifica le nuove città del mondo, oltre 350 dal 1945 a questa parte. Il sito è commissionato e finanziato dal Charter Cities Institute, un’organizzazione che afferma di favorire lo sviluppo economico dei Paesi del Sud Globale attraverso la creazione di charter cities e che è partner nello sviluppo delle Freedom Cities in USA tanto care a Trump. Un municipalismo libertarian la cui idea di futuro è obsoleta come il sogno della conquista dello spazio nel vecchio West - e che se ne frega dei limiti planetari.
Dalle nostre parti, invece, c’è chi fa presente che il consumo di suolo e la sua degradazione peggiorano le condizioni di vita presenti e future. Tra il 2008 e il 2017, la superficie dei territori europei in via di desertificazione è aumentata del corrispettivo della superficie della Grecia. L’urbanista Jean Guiony mette in parallelo la sopravvivenza dell’Europa politica con quella dei suoi suoli, affermando che senza la seconda anche la prima non può esistere. In Italia, secondo l’ultimo Rapporto ISPRA sul consumo di suolo, ne consumiamo circa 20 ettari al giorno. Come ripensare il futuro delle città alla luce di questi dati? Elena Granata, docente di urbanistica, propone delle soluzioni contro l’artificializzazione dei suoli. Nel frattempo, dagli Stati Uniti osservano la metamorfosi di Torino degli ultimi decenni e la gestione dell’eredità di “città dell’auto”.
Fonti: Ti spiego il dato, Krisis Publishing, New Cities Map, Charter Cities Institute, Wikipedia, CityJournal, Sistema Nazionale per la Protezione dell’ambiente, Rai Play, Bloomberg
La capacità di memoria sta finendo
→ a cura di Stefano Daelli
La cosa ironica è che mentre celebriamo la parola dell'anno secondo Oxford University Press "Brainrot", quello stato di ansia e malessere anche fisico dovuto al consumo compulsivo di contenuti digitali ripetitivi e privi di significato, è probabile che prima di leggere queste righe tu abbia scrollato oltre un numero assurdamente alto di contenuti di bassa qualità come questo.
Per motivi autobiografici, ciò che più mi preoccupa di questo loop comportamentale guidato dalla dopamina e i suoi effetti a lungo termine sulle nostre funzioni cognitive è la compromissione delle nostre capacità mnemoniche: l'ippocampo si intorpidisce e così degrada la parte di cervello responsabile della creazione e del mantenimento di nuovi ricordi.
Seguendo un percorso diverso, anche gli strumenti basati su LLM (Large Language Model) stanno riducendo la nostra capacità di memorizzare e, in alcuni casi, persino di rielaborare le informazioni che essi “ricordano”. Come osservato in un commento alla guida di Ethan Mollick sui “15 occasioni in cui usare l’IA e 5 in cui no”, ottenere risposte a un “prurito intellettuale” senza nemmeno fare lo sforzo di formulare una domanda chiara porta a dimenticare la risposta ottenuta altrettanto immediatamente.
Un tempo dovevamo "cacciare e raccogliere", ora è tutto fast food (vedi il pezzo scritto da Valentina in questo numero). Lo stesso vale per le informazioni. Come avevano intuito i filosofi scolastici, sembra necessaria una certa dose di "attrito" perché i fatti si fissino nella mente. Ma perché non dovremmo essere felici di esserci lasciati alle spalle questa fatica?
Se rinunciamo a questo “lavoro”, perdiamo la capacità di pensiero profondo e la comprensione della complessità del mondo, compromettendo così la nostra abilità di agire per cambiarlo. La memoria non è solo un archivio da consultare, è uno strumento che richiede intenzionalità per “andare a raccogliere”, un’attività che dà forma al nostro pensiero. Come fare per non perdere uno dei vantaggi evolutivi più sottovalutati legati alle capacità umane logico-deduttive e di creatività?
La soluzione non può essere quella di questo simpatico gruppo di giovani luddisti newyorkesi. Più promettente è l’idea di coltivare una interazione uomo-tecnologia più consapevole di dover migliorare la vita umana senza causare stress o distrazioni, come suggerito dal Calm Tech Institute.
Il punto di partenza? Cominciamo a riflettere sul concetto emergente di "brain health".
Fonti: Google Trends, In Bed With Social, New York Times, One Useful Thing, Oxford University Press, Telegraph, The Base Camp
Polarizzazione, benvenuti negli Stati Disuniti d’America
→ a cura di Giulio Zucchini
Merriam-Webster è l’istituzione di riferimento della linguistica americana e osservatore attento dell’evoluzione lessicale inglese da 420 anni. Come ogni anno, Merriam-Webster annuncia la “parola dell’anno” capace di esprimere le tendenze linguistiche e sociali nei media e nelle comunicazioni digitali attraverso l'analisi di più di 100 milioni di pagine visitate sul proprio sito ogni mese. Senza sorpresa, la “word of the year 2024” è polarization (ovviamente con la z perché americani), intesa come “divisione in due opposti nettamente distinti, in particolare, uno stato in cui le opinioni, le convinzioni o gli interessi di un gruppo o di una società non si posizionano più lungo un continuum, ma si concentrano agli estremi opposti”.
Comunità, traslochi e politica
Oggi la polarizzazione si esprime anche attraverso un cambiamento geografico e racconta l’incapacità di vivere con persone che pensano diversamente. Il fenomeno è descritto nel meraviglioso, e terrificante, articolo del New York Times basato sui registri pubblici degli elettori di oltre 3,5 milioni di americani che si sono trasferiti dopo le ultime elezioni presidenziali.
L’analisi suggerisce che il colore politico del luogo gioca un ruolo importante quando gli americani si sradicano e cercano una nuova casa. Per contribuire ad una “polarizzazione spaziale dell’America”, le decisioni sul luogo in cui stabilirsi contribuiscono ad alimentare il flusso migratorio che sta continuamente rimodellando la vita americana a livello di quartiere e contribuisce alla sensazione che gli americani siano isolati in camere dell'eco, online e nella vita quotidiana.
Invece il Guardian rimane ottimista
Nonostante le parti si spostino agli estremi lasciando vuoto lo spazio del compromesso, della complessità e dell’empatia, il quotidiano britannico Guardian racconta che possiamo rimanere ottimisti: uno studio di grandi dimensioni (32.059 partecipanti), pubblicato su Science, ha testato 25 iniziative ideate da accademici e professionisti per ridurre la radicalità e gli atteggiamenti antidemocratici negli Stati Uniti. Come? Attraverso un’app sulla democrazia che riprende la metodologia di Duolingo o consigli su come gestire i cugini repubblicani alla cena di Natale.
E se ricominciassimo a parlarci?
Per rispondere alla polarizzazione politica e all’incapacità di confrontarsi e vivere con gli altri, in Francia, il quotidiano La Croix e il media digitale Brut hanno lanciato questo autunno l’iniziativa Faut qu’on parle (Dobbiamo parlarci). L’obiettivo? Facilitare la conversazione tra persone che la pensano diversamente. Il concetto è stato lanciato nel 2017 in Germania dal Die Ziet e più di 200.000 persone hanno già partecipato. Il funzionamento è semplice. Bisogna rispondere a 10 domande su temi polarizzanti (immigrazione, diritti sociali, ecc.) per poter incontrare una persona che ha risposto diversamente. Insomma, un Tinder della politica.
Fonti: The Guardian, Science, The New York Times, Merriam Webster
Corporates sull’orlo di una crisi di nervi
→ a cura di Valentina Lunardi
Fast food d'élite, lusso per tutti?
Mentre l’aumentare dei prezzi attraversa molteplici settori, sembra essersi creata una distorsione rispetto alla percezione del valore tra brand e consumatori. A maggio un studio ha rivelato che il 78% degli americani vede il fast food come un lusso, mentre il nuovo CEO di Starbucks, dopo anni di investimenti su digitalizzazione e personalizzazione che hanno reso la percezione del brand “troppo corporate”, ha il compito di far riconquistare il suo “ruolo originario di luogo di incontro e aggregazione”. Nel frattempo, il lusso affronta una crisi di desiderabilità. Con l’accesso sempre più ampio ai beni esclusivi, il fascino si dissolve, sollevando una domanda cruciale: perché pagare tanto per qualcosa che non sembra più così speciale?
Rebranding, caos e significato perduto
Può disorientare i consumatori essere una nuova strategia di brand? Sembra pensarla così Jaguar che con il suo rebranding, accolto tra perplessità e ironia, abbandona il leggendario felino del logo per abbracciare un look minimalista e rosa, che punta a raccontare a una clientela giovane e digitale la produzione dal 2026 di sole auto elettriche. Ma la casa automobilistica non sembra isolata in tema di sperimentazioni, tanto che si inizia a parlare di “chaos packaging”: un’estetica disordinata che stravolge le regole semiotiche per catturare l’attenzione, e che potrebbe essere letto come un sintomo di una società sempre più frammentata.
Corporate violenta
Da quando è stato identificato come l'assassino di Brian Thompson, CEO di UnitedHealtcare, l’assicurazione che pareva utilizzare l’AI per negare richieste di rimborso, Luigi Mangione è diventato un idolo per milioni di persone, con fancam sui social, meme con la sua faccia circondata da cuori e recensioni negative ("un covo di spie") per il McDonald's dov'è stato arrestato. Non è solo un trend di internet, ma anche un segnale di una sorta di politicizzazione del ruolo delle grandi aziende nelle nostre vite. Il fenomeno è visibile anche da quando i dettagli del suo abbigliamento sono diventati virali. Mangione, arrestato con indosso una giacca verde militare di Levi's e uno zaino Peak Design, ha involontariamente scatenato un'ondata di interesse morboso per questi articoli, portando a un esaurimento rapido delle scorte della giacca e a un aumento delle vendite dello zaino. E il feticismo fashionista su Mangione prosegue mentre inizia il suo processo.
E se politicamente la figura di Mangione si si sta rivelando complessa, con il suo mix di ideologie di destra e sinistra e la fascinazione per una figura come Ted Kaczynski o “Unabomber”, la glorificazione della violenza da parte di individui contro sistemi di potere richiama per qualcuno periodi storici come gli "Anni di Piombo" in Italia.
Fonti: Sherwood News, Meals meals Food, The Sociology of Business, Torcha, Considered Chaos, Iconografie, Diet Prada, Newlines Mag
Arte artificiale
→ a cura di Silvia Spinelli
L’arte artificiale ridefinisce i confini della creatività, intrecciando tecnologia ed immaginazione e trasformando il concetto stesso di opera d’arte.
Ma è davvero arte? E chi scrive l’algoritmo può essere considerato un artista?
Oggi le intelligenze artificiali hanno raggiunto livelli sorprendenti: secondo uno studio, il 40% delle persone non riesce a distinguere le opere realizzate dall’IA da quelle create da esseri umani.
Sebbene spesso accusate di mancare di autenticità o "anima", queste creazioni sfidano i nostri pregiudizi, rivelando quanto sia difficile accettare ciò che non comprendiamo appieno.
Invece di cercare un legame emotivo, sembriamo più affascinati dalla complessità tecnica delle opere, dimenticando che l’essenza dell’arte risiede, prima di tutto, nell’emozione.
Anche nella musica l’IA apre nuovi orizzonti. Darryn King descrive come tecniche di assemblaggio abbiano già prodotto colonne sonore iconiche. Ora l’IA si spinge oltre, creando opere ibride che fondono stili in modi inediti.
In architettura, progetti visionari come NEOM e The Line in Arabia Saudita incarnano utopie tecnologiche che invitano a riflettere sull’equilibrio tra ideale e reale. Come queste città riflettono il loro paesaggio, l’arte artificiale rispecchia ambizioni, paure e sogni collettivi, ridefinendo il nostro concetto di desiderabile.
Un esempio significativo è Sora, il software text-to-video di OpenAI, che trasforma semplici istruzioni in clip video, aprendo possibilità inedite per l’arte visiva e sperimentale.
Come Duchamp, con la sua Fontana, ha ridefinito l’arte, l’IA ci sfida a ripensare il nostro rapporto con la creatività. La domanda non è se l’IA possa creare arte, ma se siamo pronti a riconoscerla come parte del nostro panorama artistico.
Fonti: MEDUSA newsletter, Microsoft.com, Astral Codex Ten, Domus
Segnali dal Futuro è un progetto collettivo che intercetta e racconta storie, sperimentazioni e innovazioni sociali, culturali, tecnologiche, politiche ed economiche.
Nasce da un esperimento dei fondatori di FROM che continua a sostenerla.
Questo numero è curato da Francesco Pirri.
Hanno contribuito: Davide Agazzi, Giulio Bordonaro, Ilaria Nicoletta Brambilla, Matteo Brambilla, Mafe de Baggis, Mario Bochicchio, Stefano Daelli, Giorgio De Ambrogio, Cinzia D'Emidio, Luisa Facchinetti, Nicoletta Gomboli, Chiara Leonardi, Valentina Lunardi, Luca Monti, Francesco Pirri, Filippo Pretolani, Silvia Spinelli e Giulio Zucchini.
Identità visiva di This is not a DUO.
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